www.pegli.com | storiaLa StoriaStoria dell'epopea tabarchina
immagine: Tabarca vista ponente
L’ipotesi di una colonizzazione in epoca romana sembra avvalorata dall’esistenza di alcuni ruderi ancora rintracciabili nel XVII secolo sulla terraferma.
La presenza di ricchi banchi coralliferi a Tabarca e lungo la costa nordafricana è nota già agli antichi scrittori arabi ma, solo nel X secolo quest’area catalizza l’interesse dei mercanti stranieri.
L’esordio dell’economia corallifera tabarchina è di tipo commerciale: la popolazione autoctona pesca e vende il corallo ai mercanti stranieri.
Pur rimanendo di natura commerciale, il mercato del corallo pescato lungo la costa sotto il dominio del Sultano di Tunisi, si sviluppa in favore dei genovesi e dei pisani. Ai mercanti delle due repubbliche marinare vengono concessi uguali privilegi.
Successivamente l’economia del corallo si trasforma, passando dal solo acquisto della materia prima all’intervento diretto degli stranieri nelle operazioni di pesca. Le acque tunisine sono frequentate da imbarcazioni provenienti dalla Liguria, da Cagliari e da Alghero ma, sono i catalani che nel 1439 riescono ad ottenerne il monopolio.
Il primato catalano ha però durata breve e dopo soli tredici anni, nel 1452, alcune famiglie genovesi riescono a conquistare l’esclusiva decennale sulla pesca a partire da Capo Rosso verso levante.
I fondaci di Marsacares, oggi sulla costa algerina, divengono il centro genovese della fiorente industria del corallo. Gli accordi con il locale Bey di Tunisi e con la Repubblica di Genova, previo pagamento di un censo annuo (rispettivamente 2.000 doppie fersie e 1.000 ducati d’oro), garantiscono la sicurezza della colonia ed il rispetto dell’appalto.
Convenienti accordi commerciali genovesi permettono lo sviluppo del commercio del corallo verso l’oriente.
Con l’approssimarsi del nuovo secolo, cambia la politica locale nei confronti dei genovesi. Soprusi da parte delle autorità e varie riassegnazioni dell’esclusiva portano al ridimensionamento dell’industria genovese nell’area fino al totale disimpegno nel 1520. Nel 1547, ma forse già a partire dal 1542 (viene indicato anche il 1544), Francesco Lomellini e Francesco Grimaldi ottengono la concessione per la pesca del corallo di Tabarca, di Marsacares e della costa di Barberia. Il costo di questo diritto ammonta ad un pagamento annuo di 1.600 scudi, 200 scudi in panni di seta e 1.000 in “beveraggi” da pagare al Rais Salah.
La colonizzazione dell’isola di Tabarca necessita però di un insediamento genovese individuato dai Lomellini principalmente tra gli abitanti di Pegli, località dove la stessa famiglia possiede molte proprietà.
Bisogna attendere circa quindici anni dalla concessione per giungere ad un accordo, stabilendone le regole, tra la Corona di Spagna e gli appaltatori genovesi. La durata viene fissata in cinque anni prorogabili per altri tre prima di dover procedere al rinnovo. La concessione stabilisce il diritto esclusivo di pesca in regime di monopolio in un raggio di 60 miglia lungo la costa con centro in Tabarca. Il tributo dovuto alla Spagna viene definito nell’equivalente di un quinto del pescato valutato 60 scudi per ogni cantaro (47 Kg) da pagare otto mesi dopo l’arrivo del corallo a Genova. Da questa somma vengono detratti 200 scudi annui da versare agli ufficiali del Re residenti sull’isola. Alla Spagna spetta il pagamento del tributo alle autorità locali. A queste ultime spese si aggiungono altri tributi (più simili a dei taglieggiamenti) e accordi commerciali con i locali per garantire la sicurezza dei coloni.
Per verificare il pagamento del dovuto, vengono stabilite delle regole piuttosto rigide circa il viaggio della merce. L’imbarco del corallo avviene sotto la sorveglianza di alcuni ufficiali regi che ne registrano la quantità. I rischi del trasporto sino a Genova del tributo al Re sono a carico dello stesso monarca. Durante il viaggio, il prezioso carico viene custodito in casse a doppia serratura con chiavi custodite da un agente dei concessionari e da un ufficiale del Re.
Le spese per la gestione della colonia (navi, fregate, barche, sorveglianza e bastioni) risultano di competenza dei concessionari.
In caso di mancato rinnovo, allo scadere della concessione, terminate tutte le operazioni di pesca e consegnate le fortificazioni, trascorsi quattro mesi, il Re avrebbe pagato il valore delle strutture difensive, delle artiglierie e del munizionamento.
La ricchezza dell’industria corallifera tabarchina può essere così indicativamente valutata: mediamente il valore del pescato annuale si aggira intorno ai 14.000 scudi, ai genovesi ne spettano i 4/5 (intorno a 11.000 scudi), il tributo reale ammonta a 1/5 (intorno a 3.000 scudi), il tributo al rais consiste in 2.800 scudi e a queste spese si aggiungo circa 3.000 scudi per la gestione [i calcoli non sono perfetti essendo riferiti a valori medi e fonti differenti].
Purtroppo i concessionari genovesi sono costretti ad accollarsi anche parte delle spese di competenza spagnola. Il credito cresce sempre più divenendo inesigibile e troppo rilevante rispetto al guadagno.
Se in termini numerici la popolazione di Tabarca non è molta, variando nei secoli tra gli 800 ed i 2.000 abitanti, nel campo della “vivibilità” diventa troppa. E’ necessario tener conto della limitata superficie dell’isola che si aggira intorno a 0,22 Kmq. A questa bisogna sottrarre la non indifferente area rivolta a nord, tanto impervia da rendere inaccessibile il forte ma anche impossibile da sfruttare a fini abitativi.
Tutto il territorio risulta inadatto alla coltivazione tranne per qualche albero da frutto. Praticamente tutti i beni di prima necessità, quindi anche gli alimenti, devono essere importati sull’isola dall’esterno e a spese dei Lomellini.
Il controllo demografico diviene una priorità fondamentale. Gli amministratori chiedono più volte alla parrocchia un censimento degli abitanti. La spesa per l’approvvigionamento dei coloni grava sui concessionari e li spinge a limitare i matrimoni dei residenti per impedire nuove nascite e conseguenti incrementi dei costi di gestione. Il governatore viene investito di un singolare potere, solo lui può autorizzare il matrimonio. Ma l’equilibrio demografico deve essere mantenuto anche con altri interventi come il rimpatrio degli abitanti in soprannumero o inabili al lavoro. Nonostante le difficoltà che gravano sulla vita dei tabarchini, i vari divieti e i rimpatri, la popolazione cresce notevolmente.
All’inizio del 1700, secondo quanto riportato nelle memorie del tabarchino Stefano Vallacca, la popolazione risulta così composta:
– 750 residenti suddivisi in 150 famiglie;
– 300 pescatori;
– 50 tra sbirri e facchini;
– 65 militari;
– 6 religiosi;
– 40 tra artisti, benestanti e altri lavoratori.
Le strutture al servizio della popolazione comprendono:
– un ospedale per circa 100 degenti [non individuato];
– una chiesa parrocchiale;
– una piccola chiesa intitolata a San Rocco [non individuata];
– una torre;
– un arsenale [non individuato];
– una cinta muraria completa a ponente;
– una cinta muraria parziale a levante;
– alcune cisterne;
– due mulini a vento;
– due mulini [non individuati];
– tre magazzini per il grano e la lana [non individuati];
– due magazzini per l’olio ed il cuoio [non individuati];
– un magazzino per il legname [non individuato];
– un magazzino per il corallo [non individuato];
– due magazzini per le provviste [non individuati];
– un cantiere navale;
– case con precarie coperture in frasche, alghe e terra;
– la residenza all’interno della fortezza ed un giardino per il governatore ;
– un forte capace di ospitare 1.000 soldati e parte della popolazione, fornito di armi, circa 30 cannoni, forni, cisterne e depositi alimentari;
– un approdo a ponente;
– un approdo a levante [non ben individuato].
L’economia dell’isola è incentrata sulla pesca del corallo. La flottiglia annovera circa 40 coralline con otto uomini d’equipaggio. Ad ogni battuta di pesca, una barca di guardia con più uomini a bordo anticipa l’uscita in mare delle altre imbarcazioni e vigila per dare l’allarme in caso di attacco dei pirati.
L’imbarcazione corallina è dotata di sei remi ed una vela latina. L’attrezzatura per la pesca è costituita da due aste di legno unite a croce e appesantite con della zavorra. Alla struttura viene fissata una rete. Ogni imbarcazione cala in mare da prua e da poppa due di queste reti e procede spinta dal vento o a forza dai rematori.
L’area interessata alle operazioni è abbastanza ampia e si estende entro un raggio massimo di 30 Km. La pesca nei banchi di corallo viene limitata per non causarne l’esaurimento. Una volta sfruttata, la zona viene interdetta per circa due/tre anni per permetterne il ripopolamento.
Nonostante queste precauzioni, nella prima metà del XV secolo, i banchi perdono di qualità e quantità costringendo i pescatori a spingersi oltre le acque abitualmente battute.
A Tabarca i coloni vendono per 4,50 lire/libbra il corallo ai Lomellini, i quali lo rivendono per 9,10 lire/libbra.
L’isola assume però anche rilevanza quale centro commerciale tra l’Africa e l’Europa. I Lomellini detengono il monpolio a discapito persino degli stessi coloni. Da Tabarca passano molte merci acquistabili a buon mercato sulla costa africana e rivendibili con un buon margine di guadagno in Europa. Olio, grano, orzo, lana, cuoio, cera, miele, legumi, cavalli, buoi, e altre merci convenenti vengono immagazzinate a Tabarca e spedite a Genova mentre da quest’ultima partono alla volta dell’isola altre mercanzie di maggior valore (magari dello stesso tipo ma di qualità superiore) per il mercato africano.
Ogni anno una mezza dozzina di navi tra regolari ed eventuali imbarcazioni aggiuntive percorre la rotta Genova – Tabarca e ritorno con grandi quantità di merci. La pericolosità del viaggio ed il valore dei carchi, principalmente il corallo, impone l’assicurazione almeno parziale del trasportato. Come già osservato le regole imposte al viaggio, anche per la validità dell’assicurazione, sono abbastanza puntigliose.
L’isola diviene però anche scalo di imbarcazioni non genovesi alla ricerca di mercati economicamente vantaggiosi. Al governatore viene allora concesso il permesso di vendita diretta risparmiando così sul trasporto a Genova. Il corallo tranne in rarissime occasioni è tassativamente escluso dalla vendita diretta.
La ricchezza e lo sviluppo di Tabarca attira però le invidie della vicina colonia francese del Bastione di Francia. Questa colonia, frequentata da corsi (quindi all’epoca genovesi) naturalizzati francesi e anche da genovesi a tutti gli effetti, si dimostra da sempre ostile. Subisce alcuni attacchi dai vicini algerini dai quali riesce però a risollevarsi. Il rapporto di vicinato e concorrenza tra la colonia francese e genovese degenera però in una vero e proprio attacco a sorpresa ai danni di Tabarca nel 1633. Il capitano francese Sanson Napollon, probabilmente grazie al tradimento di alcuni abitanti dell’isola, tenta lo sbarco con una ventina di uomini. La pronta risposta delle truppe di stanza a Tabarca blocca l’invasione e porta alla cattura e all’uccisione di numerosi aggressori tra cui, forse, lo stesso Napollon.
Nel 1695 la concessione viene ampliata ad un’area costiera compresa tra Capo Negro e Capo Rosso ove vengono costruite due nuove colonie o forse semplici fondaci.
Come dimostra la storia del Mediterraneo, la situazione politica è molto fluida e le “simpatie” tra francesi e turchi penalizzano gli antichi diritti genovesi. Poco o nulla cambia per Tabarca e nonostante la concorrenza a volte “violenta” (come nel 1633), paradossalmente, le due colonie si trovano a volte a collaborare o ad aiutarsi in caso di emergenza.
Ma all’inizio del XVIII secolo le fortune di Tabarca volgono al termine. I banchi di corallo si impoveriscono, la Spagna “dimentica” gli obblighi economici pattuiti scaricandoli sui Lomellini e rifiuta l’acquisto dell’isola, i “taglieggiamenti” diventano sempre più onerosi e i guadagni meno rilevanti. Tra il 1719 ed il 1729 Giacomo Filippo Durazzo e G.B. Cambiaso subentrano ai Lomellini subaffittando l’isola per dieci anni al termine dei quali non rinnovano però la concessione.
Già nel 1736 viene gettato il seme della storia carlofortina. Carlo Emanuele III° vuole valorizzare la Sardegna ed alcuni tabarchini, probabilmente intuendo l’imminente fine delle fortune della propria isola, guarda oltremare alla ricerca di una nuova casa. Nel sudovest della Sardegna, poco distante dalla costa, vedono nell’Isola di San Pietro la promessa di un vita migliore. Agostino Tagliafico viene delegato dai tabarchini a gestire la questione. Viene ipotizzato il trasferimento di 300 tabarchini. Il 20 luglio 1737, il Viceré di Cagliari firma l’infeudazione con il Marchese Bernardino Genoves y Cerveylon che si accolla i costi delle operazioni. Lo stesso anno si valuta l’arrivo di 700 tabarchini.
Il 22 febbraio 1738 un’avanguardia di 88 persone abbandona Tabarca alla volta dell’Isola di San Pietro. Ad aprile un gruppo più numeroso li segue nell’avventura che li vedrà impegnati nella nascita di una nuova colonia.
Mentre nasce il nuovo insediamento sulle coste sarde, sull’opposta sponda africana va morendo la colonia originale. Le due comunità coesistono per circa tre anni. I Lomellini decidono il disimpegno da quella che ormai si sta trasformando in un’impresa economica improduttiva. Cercano nei francesi un acquirente ma trovano nel Bey di Tunisi il tradimento. Il figlio Ikonos al comando di un’imponente forza d’invasione di circa 3.000 uomini sbarca sull’isola approfittando dell’assenza dei pescatori, comunque solo 300 circa, e di due ufficiali di guardia. Circa 900 tabarchini vengono tratti in schiavitù. I pochi scampati si trasferiscono a Carloforte e nella colonia francese.
La nobiltà europea, ma soprattutto Carlo Emanuele III° concorre a pagare il riscatto. Nel 1750 vengono liberati 121 tabarchini, nel 1753 altri vengono liberarti grazie al Papa. Alla morte del figlio, il Bey libera gli schiavi rimasti. I liberati ed altri immigrati concorrono a far crescere Carloforte e la vicina Calasetta.
Non tutti i tabarchini prendono però la via di Carloforte. Parte degli abitanti liberati nel dicembre del 1768 grazie al contributo economico di Carlo III Re di Spagna viene trasferita sull’isola di San Pablo, dal 1770 Nueva Tabarca.
Citazioni:
trascrizioni nel rispettodell’art. 70 della legge sulla protezione del diritto d’autore.
(Legge 22 aprile 1941, n. 633)